venerdì 16 aprile 2010
SUTTREE di Cormac McCarthy, recensione
“Non camminerà altra vita all’infuori di te. “ Tu solo, ti aggirerai fra i nostri sedimenti resi roccia.“Un carnevale di forme eretto sulla piana del fiume che ha prosciugato la linea della terra in un raggio di miglia e miglia…un mondo al di là di ogni immaginazione, malevolo e tattile e dissociato” aspetta te, unica anima viva.
Suttree di Cormac McCarthy è un’opera monumentale, assoluta, la cui essenza si può percepire solo a piccoli sunti, leggendo e rileggendo in momenti diversi. Volteggiano fra le pagine, magistralmente tradotte da Maurizia Balmelli, gli spiriti immortali e laboriosi dell’Arte, misteri espressi da una distanza infinita. Distribuito da noi trent'anni dopo la sua prima pubblicazione, è il Libro dell’Uomo per gli uomini della nuova era geologica: il Topoico o lo Schifario
Protagonista, fra una fitta schiera di diseredati, è Cornelius “Buddy” Suttree, il pescatore, che a bordo dello “schifo” avanza (eppure sembra immobile) sulle acque limacciose del Tennessee, un “relitto biblico e senza proposito di tornare da dove era venuto ne’di raccontare quel che aveva visto”. Io sono, io sono il prodotto di stirpi precedenti “vecchi antenati teutonici con gli occhi accesi dal bagliore visionario di una avidità sfrenata”. Fuggiaschi di ogni risma, stranieri di ogni contrada. Folli, deformi e deformatori, gli artefici malevoli di una nuova Natura.
Una cartografia che si svolge lenta come il silenzio, in pagine fitte di pensieri, immagini riflessioni, rimandi, per svelare agli “occhi bendati della notte” una semplice verità: ai margini sopravvivono solo le forme più primitive, che scavano le acque nere e profonde alla ricerca di cibo e riparo, predando e nutrendosi di organismi morti. Trilobiti paleozoici.
“Nell’ultima lettera mio padre diceva che il mondo è guidato da coloro che sono disposti ad assumersi la responsabilità della guida. Se è la vita che ti sembra di perderti posso dirti io dove trovarla. Nei tribunali, negli affari, al governo. Nelle strade non succede niente. Niente altro che una pantomima composta da impotenti e casi umani.”
Harrogate, la proiezione dell’uomo “tattile” è il personaggio, di una “serenità quasi demente” che un felice tratteggio di umorismo apocalittico, a tratti fragoroso, disorienta e sveglia lo stupore del lettore: il “chiavatore” di cocomeri. L’uomo “topo di città”, reinventore della geometria piana, che s’incunea come vena minerale nei fondi del sottosuolo.
“Mi sa che devo farmi aiutare.
Questo è sicuro.”
Non ancora simile ai suoi simili, Bud setaccia il fiume in cerca di antidoti; pesci gatto che rivende o baratta per la sua sopravvivenza temporanea. Giorni necessari allo smaltimento del dolore, raccolto tutto attorno in aree sparse della vita e dissociate dai contesti naturali. “Nelle tenebre del suo cuore giganteggiava un io inferiore sopra ampolle di veleno per topi, un vecchio libro di magia tra le mani, ritorsioni su larga scala in arrivo contro i mali del mondo”.
Il punto di rottura costa fatica, la dipendenza assale e colpisce con una sindrome di pianti e svenimenti; il paradiso montano di Gatlinburg, splende, per Suttree di troppa luce. “si sedette da solo nella sua coperta sulla panca di una sala d’attesa vuota, sgranocchiando la barretta come un topolino e leggendo una copia rilegata in finta pelle nera del Libro di Mormon che aveva trovato su un espositore. Il cioccolato riuscì a mandarlo giù, ma le parole del libro misteriosamente scorrevano via dalla pagina e pensò che non aveva mai letto storia più strana.”
Knoxville non è la città della gioia. Nelle baracche organizzate di letti e fornelli si muove la bolgia degli afflitti, fra rottami e carcasse d’ogni tipo, coriacei ad ogni dolore; umani nella domanda di un conforto: il prezzo di un caffé per un inverno di ghiaccio.
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