mercoledì 1 dicembre 2010
LA CARTA E IL TERRITORIO, recensione di Miriam Ravasio
LA CARTA E IL TERRITORIO
Di Michel Houellebecq, recensione
“Damien Hirst e Jeff Koon si spartiscono il mercato dell’arte” putrescente e scemo.
Fra le dissennatezze dell’umano c’è l’aver spogliato la pittura dal suo immaginario misterico, e un’arte senza luce è impudica, trasforma l’artista in businessman e il mecenate in maniaco (collezionista).
Tema centrale del romanzo è la pittura nel suo rapporto con il consenso; l’artista coccolato e vezzeggiato dai sistemi, esprime un sé sempre più povero, quasi misero. Alla potenza evocativa si è contrapposto, nel tempo, il clamore dell’effetto; l’artista moderno fa per sé, privo di committenze e
Incarichi, che investono abilità e sensibilità, per opere da iscrivere in progetto universale, egli è solo.
Lavora, duramente e si applica con ostinazione, per la produzione “originale” di un pensiero relativo, che press-agent, humus per le aste, stigmatizzano nell’enfasi situazionista degli eventi.
Fin dalle prime pagine, l’autore afferma e lancia il suo appello, velando in una citazione la metafora della Fratellanza, ormai avulsa nell’insieme da Liberté et Egalité, come i personaggi di un “opera minore” di Lorenzo Lotto “ciascuno di loro evitava lo sguardo degli altri due”. Conseguentemente, “le penseur” a capo chino osserva le sue parti velando gli occhi alla luce, mentre alle sue spalle “la Porte de l’Enfer” sigilla il Museo delle Arti Decorative di Parigi. Tuttavia, “l’era dei polimeri e delle plastiche, ancora recente non ha avuto il tempo di produrre una reale trasformazione mentale. Il nascente millennio, dopo varie oscillazioni la cui ampiezza non era mai stata del resto molto grande, tornava all’adorazione di un tipo semplice, sperimentato: bellezza espressa nella pienezza delle forme nella donna, nella potenza fisica nell’uomo”. Nel vasto territorio delle cattedrali, mettersi all’opera, forse è ancora possibile e alla base, non una croce ma il Nastro di Moebius; una sola superficie e due possibilità, un giro per ritrovarsi dalla parte opposta, due per tornare all’origine. Due in uno.
Houellebecq si espone, con gaia vivacità, sdoppiandosi nei protagonisti: lui stesso, intellettuale di Francia, autore dall’indiscusso successo internazionale (mecenate involontario) è il referente dell’opera. Jed Martin, l’elemento di rottura, è un artista visivo (fotografo e pittore) dalla formazione romantica; ha studiato e/o conosce Platone, Eschilo, Sofocle, Racine, Molière, Hugo, Balzac, Dickens, Flaubert, i romantici tedeschi, i romanzieri russi.
Sulle tensioni del loro agire e pensare nei confronti dell’opera, si svolge la trama, gli altri personaggi e la presenza di Jed nei loro contesti compongono scene minori, mentre i titoli (tutti!) delle opere, dei quadri, delle fotografie e delle mostre (soprattutto) separano ed evidenziano le quattro parti principali.
LA CARTA E’ PIU’ IMPORTANTE DEL TERRITORIO, segna la separazione fra l’arte e l’artista; il rimpicciolimento dell’esistenza tutta in una scala ridottissima. Posizionata a Nord la carta racconta la vita, gli insediamenti svelano l’età delle case, le prime lungo le vie di comunicazione, i fiumi, gli agglomerati attorno alle ferrovie, arrivi e partenze, le asprezze dei percorsi, gli sprechi e gli abusi. La carta racconta più di ogni museo o rievocazione.
I MESTIERI SEMPLICI, congiunzione della fotografia e della pittura al passato dei luoghi. La conclusione cui era giunto Jed: la carta evocava il passato ma nelle nuove realtà del territorio il gusto estetico era vintage, poneva dopo il successo della mostra altri interrogativi “la produzione di rappresentazioni del mondo è inutile, toglie all’arte il suo ruolo”
PROFESSIONI IN DECLINO, la perdita della materia.
In un dialogo sincero quanto inaspettato, l’anziano padre morente, noto e celebrato architetto confessa al figlio l’incapacità della corporazione di contrastare Le Corbusier: uno spirito totalitario e brutale, animato da un gusto intenso per la bruttezza, ma è stata la sua visione del mondo a prevalere durante il XX secolo. Il funzionalismo produttivista della bellezza, rivelava l’arte mortale degli uomini, il potere, per tutti gli uomini del mondo.
COMPOSIZIONI D’IMPRESA, fissazione dei principi per l’artista; le imprese dell’arte vanno distrutte e la conoscenza sovvertita.
I grandi maestri del Rinascimento trasformando le loro botteghe in imprese decretarono la morte dell’arte stessa, stabilendo il confine fra concezione ed esecuzione, fra arte e artigianato. Leonardo da Vinci e Damien Hirts sono simili, entrambi hanno perso il contatto con la spiritualità a favore di una realtà commerciale e d’impresa. “Stava veramente facendo un quadro di merda. Prese una spatola, squarciò l’occhio di Damien Hirts e allargò il buco con sforzo”.
Nell’epilogo, Houellebecq (intellettuale di fama)e Jed Martin (pittore quotato) muoiono; il primo distrutto da una cupidigia malata e l’altro svanendo in un trionfo della vegetazione che non può essere che totale: nella Natura.
L’artista è un sottomesso a messaggi misteriosi …
Miriam Ravasio
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