martedì 15 settembre 2009

IL TERREMOTO E' UN MITO, recensione al libro L'infanzia è un terremoto di Carola Susani


“Il terremoto è un mito, la vita di prima è preistoria” L’infanzia è un terremoto di Carola Susani è un testo difficile da recensire, perché è un insieme di cose diverse: biografia, ricerca, analisi, storia , politica ed anche un diario di viaggio. I luoghi sono quelli privati della memoria e quelli pubblici del disastroso terremoto della Valle del Belice.
Scritto più per capire che per dire, l’autrice ritorna ai suoi primi anni, quando i genitori, due architetti veneti, si trasferirono nella baraccopoli del Belice, impegnati attivamente nel progetto di Danilo Dolci e Lorenzo Barbera. Lo stile ricorda Savinio, perché è il lettore, che con i suoi strumenti di conoscenza, ricompone l’esperienza, colmando lo spazio temporale che dista dai fatti, 1968 -1972 e dalla loro rivisitazione, oggi. Sta lì, nella nostra memoria il senso del vuoto, che muove quel bisogno di verifica che, a molti anni di distanza, spinge l’autrice al “ritorno”; ad intraprendere il viaggio, in compagnia del marito e del figlio. Lei, ora mamma , ricorda i giochi con i bimbi siciliani, i pasti della mensa comune e i discorsi dei grandi, che immaginiamo estenuanti e infiniti. Perché lì, si sperimentava una nuova idea di città, ideale e utopica, che voleva eliminare il centro e la periferia, ricchezza e povertà, azzerando il passato, già azzerato fisicamente dalla natura.
Dalle rovine di Montevago, e poi da Gibellina e dal Cretto di Burri, si avvia il racconto di Carola Susani, con una riflessione sull’arte, sulle idee, sul delirio entusiastico dell’utopia. Le “rovine” schiacciate nella terra dal peso immenso dell’opera di Burri, sono descritte da due diversi punti di vista; quello dell’autrice, che nel Cretto riconosce l’intento poetico e quella degli abitanti che al contrario vivono la grande colata bianca come un inganno al ricordo, alla vita stessa che in quel luogo non sarà più, mai più. “ Ho pensato a Gibellina come a un pamphlet dell’antintellettualismo, un Candide, la dimostrazione della pochezza, dell’inanità dell’arte. Che cos’è l’arte? La cacatina di un uccello presuntuoso. Chi presta attenzione all’arte? Nessuno. Perché dovrebbe? Che ragione c’è? Può giusto servire a richiamare turisti e intellettuali, gente che si diletta di cose senza senso, gente senza problemi.”
Gibellina come la coda lunga di Yale? E l’Ises (istituto per lo sviluppo dell’edilizia sociale responsabile della ricostruzione) attrattore dei sogni e delle utopie di un mondo in movimento? Sì, fu così. “ L’infanzia si diletta di trionfi. E’ vero questa non è tutta l’infanzia, l’infanzia non disdegna la commozione, le tenerezze, l’amore. Però nell’infanzia c’è anche questa fascinazione per le rovine”. A quale infanzia si riferisce Carola? A quella dei suoi quattro, cinque, sei anni o a quella delle idee assolute, che lei bimba, ha lucidamente riconosciuto nei “nostri adulti”che sacrificando la creatività dell’arte all’ideologia originarono solo teoria e poi esperienza spericolata: il terremoto è un mito, la vita di prima è preistoria.
Nomi noti, della politica, ma non solo, di ieri e di oggi, si intrecciano in relazioni complesse: un giovane Don Rigodi, il colonnello Dalla Chiesa, Bruno Zevi e Ulriche Meinhoff. Il sessantotto e il suo mito stanno lì, sorprendentemente, nella Valle del Belice, nel racconto e nella ricostruzione di quella esperienza; nei frammenti , diversi, esposti come in una mostra a tema, che potrebbe anche essere itinerante perché il pensiero che animava la Comune fu, appunto, comune a molti e, nella sua versione architettonica lo fu per molto tempo ancora.
Miriam Ravasio