sabato 23 gennaio 2010

SCALE DI MEMORIA



“A Mauthausen c’era una scala scolpita nella roccia, con 176 scalini, ruvidi e appuntiti.
Mi ricorderò sempre della giornata del 21 agosto ’44, giornata nella quale io, con altri 550 compagni dovetti fare quella scala, e purtroppo 175 di noi ci lasciarono la vita.
Uno alla volta venimmo fatti passare, con un sacco sulla spalla del peso di circa 30 o 40 chili. Ad ogni cinque vi era un tedesco delle S.S. armato di fucile con baionetta innestata, ed un altro al suo fianco con lo scudiscio in mano. Inesorabilmente egli batteva il “paziente” che faceva la mossa di fermarsi durante l’ascesa della martirizzante scala.
Io riuscii ad arrivare fino in cima, dato che avevo un fisico ancora abbastanza robusto; un mio compagno, che mi era come un fratello Gandini Emilio di Lecco ci riuscì a stento, ma la maggior parte degli uomini anziani, sulla cinquantina e sulla sessantina, non ce la facevano.
Questi poveretti, già malconci per le percosse ricevute venivano spinti con la punta delle baionette sull’orlo della scala e fatti precipitare nel burrone sottostante.
La morte di quei poveretti e le grida di dolore degli agonizzanti erano uno spettacolo divertente per i crudeli e famigerati ufficiali delle S.S., comandanti e amministratori del terribile campo di Mauthausen.”
Dal diario di Lino Frigerio, detto “Gabbia”
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Scendo la Scala della Morte, che conduceva alla cava di pietra di Mauthausen. Su questi 186 alti gradini gli schiavi portavano macigni, cadevano per la fatica o perché le SS li facevano inciampare e rotolare sotto i sassi, venivano abbattuti a bastonate o a fucilate. I gradini sono blocchi ineguali e impervi, il sole scotta; il massacro è ancora vicino, vengono in mente divinità arcaiche avide di sacrifici umani, le piramidi di Teotihuancàn e idoli aztechi (…) Su questi scalini, il singolo si sente uno dei grandi numeri macinati dallo Spirito del Mondo che evidentemente dà segni di squilibrio mentale, uno di quei numeri di matricola che l’ufficio competente del lager incideva sul braccio dei detenuti.
(Danubio, Claudio Magris, ed. Garzanti)
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Buchenwald, Auschwitz, Mauthausen. Le testimonianze provenienti da quei luoghi sono rivelazioni immani anche per chi in un lager ci la abitato. L’immagine della gradinata nella cava di Mauthausen, per esempio. Centottantasei gradini. Dieci pianerottoli. I corpi zebrati dovevano inerpicarsi sei volte al giorno fino in cima alla gradinata, con una pesante pietra sulle spalle. E quella pietra doveva essere pesante avvero, dato che lassù uno stretto sentiero correva lungo l’orlo di un precipizio, e lì stava un kapò che buttava giù con uno spintone chi a suo giudizio aveva una pietra troppo piccola sulle spalle. Quello strapiombo veniva nominato «la parete dei paracadutisti». Ma si poteva cadere già sulla gradinata, dal momento che i corpi erano magri e le pietre grandi, e i gradini erano costituiti da sassi diseguali e posti di traverso. Quando poi alle guardie saltava il ghiribizzo, respingevano indietro, dalla cima della gradinata, quelli che si erano trascinati ansimando fin lassù, facendoli rovinare su chi stava sopravvenendo, e così a rotolare giù era un misto di pietre bianche e masse striate.
( Necropoli di Boris Pahor ed. Fazi )