lunedì 11 ottobre 2010

Durer-Lotto-Lomazzo lettura esoterica di miriam ravasio


QUEL CHE RESTA E' VIVO NELL'ARTE
1499. Nel ritratto di Oswolt Krel , Albrecth Durer fissa nello sguardo l’attenzione a ciò che sta scomparendo, quel concetto di morte e di resurrezione che caratterizza il mondo naturale; l’immagine della selva sta per essere chiusa dal fondale rosso, che per quattro quinti chiude la scena. La pelliccia dell’abito evoca lo spirito primordiale dell’homo silvaticus. 1505. Al centro dell’Allegoria del vizio e della virtù, Lorenzo Lotto, pone un tronco morto, da cui spunta un vigoroso germoglio, alla destra un satiro laido e a sinistra un bimbo intento ad ordinare delle forme, sopra di lui, non un cielo tempestoso (come da più parti ho letto) ma un bozzolo di luce chiara che si espande tutta attorno. L’opera rappresenta il tempo passato presente e futuro, o la condizione dell’uomo che negandosi alla luce non può che ripiegarsi su ciò che possiede? 1592. Autoritratto di Giovanni Paolo Lomazzo, pittore e trattatista e grande conoscitore di Leonardo da Vinci. Il fondo è scuro , solo il viso e le mani portano luce ad un’azione, che possiamo immaginare come compiuta; le forbici hanno tagliato la tela…

LA TERRA CHE CAMMINA di Miriam Ravasio


Il Mondo: una palla su due gambe

Nell’arte, quel che è simile è diverso
Gli elementi figurativi di queste opere sono gli stessi, un globo e una figura umana, il senso, il messaggio e la comunicazione cui sottendono sono diversi; esprimono il “mutato” rapporto fra Uomo e Natura. Nella stampa di Martin Van Heemskercck ( 1572) accanto alla figura con l’infante al seno c’è il globo terrestre “ornato” dagli strumenti dell’Uomo; nell’Atalanta Fugiens di Michael Maier del 1618, la figura diventa “Terra” che nutre il poppante, una madre che avanza sicura incurante delle figure poste ai suoi piedi; nella recente opera di William Kentridge del 2007, L’inesorabile avanzata, gli strumenti dell’Uomo sono diventati creatura, un globo meccanico avanza in uno spazio di morte. Ma l’Uomo c’è e sta guardando l’opera, siamo noi.

LEGAMI D'AMORE, recensione a cura di Miriam Ravasio


“Dal fiume al mare. Dalla melma al sale.”
Il titolo da soap non inganna. Nel romanzo di Maria Rosa Nuvoletta c’è una guerra senza pace; spietata, talebana che azzera tempo, spazio, emozioni per gli “esseri” nati e compiuti nelle famiglie di camorra. Dove si agisce in funzione di un proprio convincimento di una propria convenienza e prospettiva, gerarchie per cui il Male è un Bene apparente. Uno stato di Natura riconosciuto e alimentato dal seme della violenza “che si era diffusa rimanendo intatta nel tempo e perfezionandosi. Come una religione.” Una condizione illiberale, prevaricante, malfattrice che muove allo sfondamento dello stato civile.
Vito e Barbara Cortese sono in fuga dal fango, quello dell’Arno che aveva sommerso la città e mangiata l’attività di famiglia e il fango di Napoli, che mese dopo mese li risucchiava dal macrocosmo di speranze e libertà, è il 1968. Cedere al diritto di governare se stessi, per riconoscerne uno comune e superiore, l’ordinamento di una famiglia di CA-MOR-RA. Le pagine scorrono a zoom , occhi che osservano questo “loro” mondo alla ricerca dell’appartenenza ad una famiglia che non vive legami d’amore ma di sistema. Quando la consapevolezza è riconosciuta, l’imperativo è la distinzione, essere diversi . “Come faccio a respirare, a guardare il mare, a sentire gli odori senza avvertirne il fetore, a mangiare senza provare disgusto, ad amare senza detestare …a sorridere senza lasciar scorrere il pianto? Come si riscatta tutto questo?”
Disconoscere, e l’autrice individua l’elemento di rottura in una corporeità negata; stretta e fredda come il sesso di Barbara, mite e sussurrata in Vito o muta come Sonia, l’orfana, aggiunta per amore. Personaggio chiave, che ricorda Sonja Rostov di Guerra e Pace, nella famiglia ma estranea; entrambe determinanti, presenti, attente, capaci e ricche dell’amore più grande: quello che si dona.
Lettura vivida, coinvolgente dove il tratteggio dell’ambiente camorristico-mafioso, narrato in libri, film e fiction, qui è solo un filo (un pretesto) per legare a catenella un’opera di cuore e coraggiosa, giorni di vita vera, che si svelano con empatia per sottolineare una parola comune di tre sillabe, di cui, forse abbiamo perso il senso: LI- BER-TA’.
“Era stato così, tenendosi forte a quella manina a cui chiedere e dare all’improvviso un grande coraggio, che aveva visto. Un mare marrone che puzzava di nafta e di carogne”.
Legami d'amore
Maria Rosa Nuvoletta
Fannucci Editore