giovedì 8 marzo 2012

I PETEL DI MIRIAM

( L'aruspice, olio su materie plastiche 2011)


Poesie a colori o colori in rima, verrebbe da dire per le opere di Miriam Ravasio, artista che nelle sue più recenti opere dimostra di aver raggiunto una maturità inattaccabile, risultato di una sicurezza artistica oramai consolidata. Un percorso, il suo, di continua ricerca espressiva dove i protagonisti sono gli uomini altri - che potremmo benissimo riferire alla concezione classica dell’individuo - e i loro olimpi. Colonne, capitelli, templi, obelischi, grattacieli che si arrampicano sulla tela come scale; il cielo come porta e meta ultima del divenire. E poi l’aruspice che attende la creatura celeste, forse segno di svelata verità o salvezza, oppure simbolo di quel generale “recupero” dopo il decadimento umano,”ritorno al mondo nuovo” nella profezia di Huxley. Dalla grafite e gessi, sperimentando il collage materico, l’olio, la carta, la sabbia e una consapevole manualità, Miriam Ravasio spacca la forma imponendosi all’opera con la semplicità del bambino. Proprio per questo – in virtù di un’opera che mi ha convinto profondamente - mi sento di paragonare il linguaggio pittorico dell’artista a quel che Zanzotto definiva “petèl”, ossia il linguaggio dell’infanzia, “borbottio dalla sonorità liquida”, che qui si traduce nei colori e nell’apparente elementarità delle forme. L’artista infine pare porci una domanda, e lo fa a modo suo, con quella leggerezza timida che ne distingue l’animo sul sottile filo di una contiguità, la stessa che lo lega, in qualche modo, alla recherche di proustiana memoria : cos’è la vita se non la continua ricerca del proprio tempo perduto? Tempo perduto che, per non abbandonare la comodità delle nostre gabbie, chiameremo infanzia.
Leonardo Fiasca (alias di qualcun altro)

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