sabato 15 agosto 2009

DIARIO DI SCUOLA, recensione



Diario di scuola di Daniel Pennac (prima parte)

Canto della somaraggine o della sofferenza condivisa del somaro, dei genitori e degli insegnanti, quella “sofferenza di non capire e i suoi danni collaterali”. Pagine vibranti di amore dolce e furioso per gli esclusi, che Pennac definisce i “passionari del fallimento” e per gli insegnanti “salvatori”, quelli che non mollano mai, artisti nella trasmissione della loro materia. “Nessuno è più pronto a cazziarti di un professore insoddisfatto di sé stesso”, ma “è sufficiente un professore - uno solo! - per salvarci da noi stessi e farci dimenticare tutti gli altri”.
Una magistrale lezione pedagogica, divisa in parti che voglio riassumere così: il somaro, la somaraggine, l’amore. Pagina dopo pagina il lettore ripercorre tutte le tappe di Pennac, Daniel Pennacchioni, bambino che andava male a scuola “non capivo, ero più indietro del cane di casa”. Testimonianze, analisi, riflessioni e prese di posizione nette e anche provocatorie che non mancheranno di sollevare polemiche: un testo dirompente, da leggere e studiare : Un testo sull’organizzazione del sistema scolastico francese, dalla sua istituzione ad oggi. Dallo “zio Jules”, Jules Ferry che assicurò l’istruzione pubblica obbligatoria, al “bambino cliente” e alla sua “Nonnaccia Marketing”.
E’ quasi impossibile, anche con la disamina più attenta, comprendere i temi del libro, perché Pennac ci offre il cuore, la sua professionalità e lo spirito critico dello scrittore, attento al mutare delle abitudini e delle classi sociali.

Il somaro di Pennac, è un disadattato senza fondamento storico, senza ragione sociologica, perché lui figlio di laureati era somaro come altri “un archetipo senza unità di misura”. Un escluso, elemento di disturbo per l’istituzione scolastica e incompreso a casa. Al punto che la madre, nell’epilogo, messo ad introduzione del racconto, non gli riconosce nemmeno il successo: Il mio avvenire le parve subito talmente compromesso che non è mai stata davvero sicura del mio presente. Perché il somaro si racconta ininterrottamente la sua somaraggine: faccio schifo, non ce la farò mai. Per loro, la scuola è un club di cui si vietano, da soli, l’accesso. Giorni e ore di scuola e di fatica per comprendere quelle parole, così facili per gli altri, e che lui ripeteva instancabilmente, come bocconi masticati senza inghiottire fino alla totale decomposizione del sapore e del senso. Sofferenza e comicità, momenti di abbandono e voglia di riscatto, impotenza e compiacimento, perché “il somaro oscilla fra lo scusarsi di essere e il desiderio di esistere nonostante tutto”.

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